(Acs) Perugia, 27 ottobre 2014 – “Spiegare le intenzioni della Giunta regionale riguardo l'invito del ministero della Salute a razionalizzare, come accaduto per i punti nascita, i punti in cui si pratica l'interruzione volontaria di gravidanza (Ivg), procedendo alla chiusura delle strutture scarsamente utilizzate, in modo particolare quelle che praticano Ivg tardive (dopo il primo trimestre di gravidanza) ove l'intervento andrebbe eseguito solo nelle strutture con un reparto di terapia intensiva neonatale, in considerazione della necessità di assistere l'eventuale nato vivo”. Lo chiede, con una interrogazione all'Esecutivo di Palazzo Donini, il capogruppo Udc all'Assemblea legislativa, Sandra Monacelli.
Nel suo atto ispettivo, il consigliere regionale rileva che: “il ministero della Salute ha pubblicato una relazione nella quale vengono analizzati e illustrati i dati definitivi relativi all’anno 2012 e quelli preliminari per l’anno 2013 sull’attuazione della legge 'n.194/1978', che stabilisce norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza. In Umbria – evidenzia Monacelli - il tasso di abortività, dal 1982 ad oggi, ha fatto registrare una fortissima diminuzione pari al 58,1 per cento, una percentuale tra le più alte in Italia. In termini assoluti le interruzioni volontarie di gravidanza nel 2013 sono scese del 4,9 per cento rispetto al 2012, una media superiore a quella nazionale (4,2 per cento. Il tasso di abortività, sempre prendendo in considerazioni gli anni 2012 e 2013, è diminuito del 4,6 per cento contro la media nazionale del 3,7 per cento. Il rapporto di abortività, in riferimento ai nati vivi, è diminuito del 3,3 per cento, contro la media nazionale dello 0,3 per cento”. Monacelli riporta inoltre che “il ministero della Salute certifica che 'nell'ultimo decennio si è andato sempre più evidenziando il peso delle interruzioni volontarie di gravidanza ottenute dalle cittadine straniere, che hanno caratteristiche socio-demografiche diverse rispetto alle cittadine italiane e una tendenza al ricorso all'aborto tre volte maggiore, in generale, e oltre quattro volte per le più giovani'. In Umbria, su 13 strutture di ricovero con reparto di ostetricia e/o ginecologia, 12 praticano le interruzioni volontarie di gravidanza con una percentuale del 92,3 per cento contro una media nazionale del 64 per cento. In riferimento alla popolazione femminile in età fertile, in Umbria è più elevata la presenza di strutture in cui si pratica l'interruzione volontaria di gravidanza rispetto ai punti-nascita (6,2 contro 5,7). Tale dato, in netta controtendenza rispetto al rapporto fra nascite e Ivg, è presente esclusivamente nelle cosiddette 'Regioni rosse' (Liguria, Emilia Romagna, Toscana e Umbria), chiaro segnale di una scelta ideologica prima che di reale fabbisogno. Pochi mesi fa in Umbria si è polemizzato circa l'eccessiva presenza di medici obiettori di coscienza, che avrebbero messo a rischio le Ivg, mentre addirittura il carico di lavoro settimanale, relativo alle Ivg, per i ginecologi umbri non obiettori è in calo e tra i più bassi in Italia”.
Sandra Monacelli conclude ricordando che “un obiettivo della politica sanitaria italiana, secondo l'accordo Stato-Regioni del dicembre 2010, è quello della messa in sicurezza dei punti nascita, che prevede una riorganizzazione degli stessi con la chiusura di quelli in cui si effettuano meno di 500 parti l'anno. Tale obiettivo è stato fatto proprio dalla Regione Umbria, con la recente chiusura per ultimo del punto nascita di Assisi. Il ministero invita a monitorare, per quanto riguarda l'interruzione volontaria di gravidanza, i punti che ne effettuano poche, analogamente a quanto accade per i punti nascita. Ma tale invito, contrariamente ai punti nascita, è puntualmente caduto nel vuoto”. RED/mp